Saturday, October 29, 2005
DA KIOTO A BUENOS AIRES
Salvare il clima del pianeta o almeno limitare i danni già evidenti cui tutti stiamo andando incontro, è quanto si prefigge la X Conferenza Mondiale sui cambiamenti climatici in corso a Buenos Aires fino al 17 dicembre 2004. La metropoli argentina è stata scelta perchè è tra le più esposte alle conseguenze del surriscaldamento del pianeta. L'innalzamento del fiume su cui sorge e le infiltrazioni di acqua marina nelle falde sono i rischi più concreti.
L'assise precede di due mesi l'entrata in vigore del protocollo di Kioto con cui nel 1997 l'umanità s'impegnava a ridurre l'emissioni di gas serra. L'accordo di Kioto costringe i firmatari a ridurre del 5,2% le loro emissioni entro il 2012.
Esso entrerà in vigore grazie all'adesione russa che supera la cifra di 55 paesi con almeno il 55% dell'emissione totale necessaria. Grandi oppositori del trattato sono gli Stati Uniti e la Cina, responsabili del più alto grado d'inquinamento.
Gli USA si rifiutano di firmare un accordo considerato politico e propongono un piano alternativo.
I 6000 delegati giunti a Buenos Aires da 180 paesi tengono d'occhio anche India e Brasile, paesi che lo sviluppo renderà in futuro inquinatori.
Consapevoli che il protocollo di Kioto altro non è che un passo nella giusta direzione, i partecipanti alla conferenza vogliono darsi un'agenda concreta per i prossimi anni. Si punta a contenere l'aumento delle temperature a soli 2° centigradi entro fine secolo (il rischio d'un riscaldamento di globale 5-6° centigradi) e ridurre quindi l'emissione di gas serra di metà entro il 2050. In prima linea il gruppo dei 77 che raggruppa gran parte dei paesi emergenti. Esso chiede agli stati industriali di mettere a disposizione le loro tecnologie per favorire lo sviluppo sostenibile in tutto il mondo.
L'agenda di Buenos Aires nasce dalla necessità di far fronte alle emergenze che si fanno sempre più gravi ed evidenti. Negli ultimi 10 anni il deserto è avanzato in vaste aree di Africa e Asia dove ormai in ogni stagione si assiste a devastanti invasioni di locuste che ora minacciano anche l'Europa.
In altre aree sono aumentate le piogge: disastrose alluvioni dal Monzambico al Bangla Desh ma anche a Praga, ne si è attenuata l'azione del Nino responsabile di forti alterazioni climatiche.
Il riscaldamento del pianeta ha già distrutto il 20% delle barriere coralline del mondo e un altro 24% è a rischio.
Con 1/4 delle emissioni globali gli USA sono il paese che più inquina il mondo.
Nel 1997 il presidente Clinton sembrava orientato ad unirsi a tutti gli altri firmatari ma non l'ha fatto. Sin dal suo arrivo alla Casa Bianca l'amministrazione Bush ha sconfessato l'intesa e attuato iniziative come l'acquisto di quote di Aria Pulita dai paesi meno sviluppati e inquinanti. Forti le critiche da parte di tutti i convenuti dell'assise ONU. Greenpeace accusa Bush di non aver fatto nulla per frenare il surriscaldamento del pianeta e contesta le previsioni fornite dal governo americano.
Aaron Watson, capo della delegazione americana a Buenos Aires ha detto che il piano Bush punta a ridurre l'incidenza dell'Anidride Carbonica nell'economia americana del 18% entro il 2012. Tale cifra si tradurebbe in realtà in un abbattimento del 4% dei Gas Serra a fronte di una riduzione più cospicua da parte dei firmatari di Kioto. Ne risulterebbe di fatto un aumento dall'attuale 25% al 32% delle emissioni totali.
Il piano Bush si fonda su studi paralleli che smentiscono le previsioni della comunità scientifica e internazionale e mira a ridurre le emissioni attraverso l'impegno volontario delle imprese.
Piccoli stati in preda all'emergenza Chiribati, Maldive, isole Marshall, Micronesia, Nauru e isole Tuvalu sono le terre che, più di tutte le altre, rischiano di sprofondare per l'innalzamento del livello degli oceani dovuto all'aumento delle temperature. I governi dei paesi minacciati, spesso paradisi del turismo d'elite, e le organizzazioni ambientaliste da tempo sono impegnati per evitare una catastrofe che comunque pare inevitabile.
Gli ultimi studi valutano in 30 -35 anni il periodo di vita residuo degli atolli più esposti a un fenomeno che riguarda il 34% delle coste e il 17% degli abitanti del pianeta.
Sarà Mauritius ad ospitare dal 10 al 14 gennaio 2005 la conferenza internazionale sul futuro dei piccoli stati insulari.
L'incontro ONU affronterà tutti i problemi legati ai mutamenti climatici, dai timori della scomparsa degli atolli alla maggior frequenza degli uragani. La conferenza vedrà per la prima volta 25 capi di stato alle prese con emergenze di varia natura e soprattutto getterà le basi per implimentare forme di collaborazione che consentano a tutti i piccoli paesi di parlare con una sola voce e quindi di avere più peso davanti alla comunità internazionale.
Sud America e Caraibi sono le aree che già oggi pagano il prezzo più alto per il surriscaldamento del pianeta. Il rapporto Unep, il programma ONU per l'ambiente, presentato a Buenos Aires sottolinea l'aumento della frequenza e dell'intensità degli uragani nei Caraibi e delle piogge in Brasile e Argentina legate ad un innalzamento dei livelli dei fiumi. I mutamenti di clima più marcati si dovrebbero avere nelle zone desertiche del Perù dove il Nino ha già generato un grande lago, nel Nordest brasiliano e nelle zone aride del Nord di Cile e Argentina.
Oltre ai delegati di governi e ONG (organizzazioni non governative) alla conferenza sul clima sono presenti i sindaci e rappresentanti di 550 città. Il confronto verte sui meccanismi messi in atto per tenere a bada l'inquinamento, dalla raccolta differenziata ai controlli sui gas di scarico delle auto e l'impiego di nuovi carburanti per il trasporto locale; dalle scelte politiche sui mezzi pubblici o sul verde urbano ai criteri d'adottare per i materiali nell'edilizia comunale. L'idea è che, dalle soluzioni adottate a livello locale possono scaturire linee guida per i paesi, le organizzazioni e le imprese multinazionali.
Nonostante gli sforzi il 2003 è stato l'anno con la più alta quantità di emissione di carbonio nell'atmosfera. Lo sottolinea il rapporto dell'Earth polices Institute di Washington che imputa i 3/4 delle emissioni a 3 combustibili: carbone, petrolio e gas. Nei 4 settori principali che contribuiscono all'inquinamento la produzione di elettricità rappresenta il 35% mentre il 25% delle emissioni proviene dall'industria e il 20% dai trasporti. Soltanto 10 Paesi producono i 2/3 delle emissioni di gas serra, sono gli USA, la Cina, Russia, Giappone, India e Germania. Secondo lo studio la graduatoria dei paesi inquinanti è destinata a mutare e già nei prossimi anni i maggiori contributi arriveranno dai Paesi in via di sviluppo che usano più carbone. Il problema dei gas serra nasce il momento in cui foreste e oceani non riescono ad assorbire l'anidride carbonica prodotta in eccesso. Il surplus di gas nocivi è aumentato vertiginosamente negli ultimi 20 anni con punte sempre più allarmanti nel 2003 e 2004. L'aumento dei gas serra nell'atmosfera provoca un accumulo del calore sulla Terra. Solo uno sviluppo equo compatibile potrà cambiare le cose.
La situazione in Cina e Brasile Intervenire sui combustibili usati nell'industria pesante nei trasporti, è la risposta all'emergenza clima di Cina e Brasile, due dei paesi più inquinanti. Pechino che ha approvato Kioto nel 2002 ma non lo ha ancora ratificato, intende proseguire le dismissioni delle fabbriche a carbone, principale responsabile delle emissioni di anidride carbonica. Il Brasile punta invece sui carburanti, quali l'Etanolo e lo zucchero da canna nei trasporti. Resta tuttavia fondamentale la protezione della foresta amazzonica, l'unica veramente in grado di assimilare l'anidride carbonica in eccesso, arginando l'effetto serra.
Kioto, più e meno virtuosi Dei 137 Paesi firmatari nel 1997 del protocollo di Kioto, 74 hanno ratificato e altri 56 lo hanno approvato. I primi, nel 1998 furono alcuni tra i più minacciati dall'Effetto Serra: Maldive, Tuvalu, Antigua, Fiji, El Salvador... quindi via via tutti gli altri, fino alla Russia lo scorso 18 novembre. Proprio la Russia, responsabile del 17,4% delle emissioni è il Paese più inquinante tra quelli che dovranno rispettare l'intesa. Seguono il Giappone (8,5% d'inquinamento) e Germania (7,4%). Quest'ultima ha già raggiunto in breve tempo gli obiettivi di Kioto grazie alle dismissioni delle industrie pesanti nell'Est. Oltre a quelle di Australia e Stati Uniti, mancano le firme di Croazia, Egitto, Kazakistan, Liechestein, Monaco, St Vincent e Grenadine Gambia. L'Italia è responsabile del 3,1% delle emissioni, meno del Canada (3,3%) ma più di Polonia (3%) e Francia (2,7%). Quest'ultima, tuttavia, convive con gli alti rischi dell'eenergia nucleare. Nonostante la ratifica il nostro Paese appare in ritardo sul piano attuativo. Uno studio dell'Unione Europea preconizza, anzi , un aumento delle emissioni. Gli ambientalisti denunciano le politiche del governo ritenute troppo permissive nei confronti delle industrie.
L'Arabia firma il protocollo di Kioto (21/12/2004) L'Arabia Saudita, il paese maggior esportatore mondiale di petrolio ha firmato il protocollo di Kioto per la lotta all'Effetto Serra. Il governo, recita l'agenzia di stampa saudita, ha preso la decisione e il relativo decreto reale è pronto. Gli Stati Uniti e l'Australia sono gli unici due grandi paesi industrializzati a non aver firmato il Trattato che entrerà in vigore in febbraio.
Il valore di Kioto Il 16 febbraio 2005, con vistoso ritardo rispetto i propositi iniziali, entra in vigore il Protocollo di Kioto, strumento per tutelare il clima sino al 2012. Gli ambientalisti di tutto il mondo vedono nell'intesa un'arma spuntata incapace di dominare violenti sconvolgimenti che appaiono ormai inevitabili. Sul banco d'accusa i paesi produttori di petrolio, come gli USA, veri inquinatori del mondo che vedono in Kioto un freno allo sviluppo. Un nuovo vertice sul clima, il prossimo meggio a Bonn, farà il punto sui mutamenti in atto sulla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.
Mercoledì 16 /febbraio 2005 entra in vigore il Protocollo di Kioto.
Con l'entrata in vigore del Protocollo di Kioto, una parte del mondo comincia a ragionare secondo una nuova filosofia, a tutela del clima. L'accordo costringe i Paesi industriali che vi hanno aderito a ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 5,2% rispetto ai valori registrati nel 1990. Alcuni stati, come Germania e Giappone, hanno adottato nuove leggi e registrato un primo calo. Altri, come l'Italia, trovano qualche difficoltà a sposare i requisiti di Kioto al crescente bisogno di energia, tanto che negli ultimi tempi si è riaperto il dibattito sull'opportunità di tornare al nucleare.
Che cosa prevede il Protocollo di Kioto L'intesa che entra in vigore, mira a tenere sotto controllo l'aumento delle temperature e scongiurare il moltiplicarsi di uragani, periodi siccitosi, alluvioni e altri fenomeni estremi. I maggiori responsabili del fenomeno sono 6 gas: Metano, Protossido di Azoto, Idrofluorocarburi, Perfluorocarburi, Esafloruro di Sodio e Anidride Carbonica che contribuisce da sola al 63% alle emissioni di gas serra. Il Procollo indica le aree in cui gli aderenti dovranno intervenire con piani settoriali, volti a ridurre le emissioni su scala nazionale: Grandi Industrie, Trasporti, Produzione di Energia ect... I Paesi industriali dovranno attuare nuove politiche ambientali per creare "serbatoi chiusi" per l'assorbimento del Carbonio: in altre parole, potenziare boschi, foreste e coltivazioni agricole. I provvedimenti, per la riduzione delle emissioni a livello nazionale, possono essere in parte sostituiti dai cosidetti "meccanismi flessibili". Si tratta di progetti per lo sviluppo compatibile, d'attuare nei Paesi in via di sviluppo e di piani ad attuazione congiunta destinati a quelli la cui economia vive una fase di transizione, come le ex repubbliche sovietiche.
Gli Stati che hanno ratificato il Protocollo potranno, d'ora in poi, avviare la "compravendita" delle loro quote di Anidride Carbonica. Se un Paese fa registrare un calo delle emissioni superiori a quanto previsto da Kioto, esso potrà "vendere il proprio Credito" ad un altro Paese che accusa difficoltà nel raggiungere la sua quota. La "Borsa dell'Anidride Carbonica" ha gia fissato i prezzi: da 10 a 12 Euro per tonnellata di Anidride Carbonica. Islanda, Norvegia, Svizzera possono già oggi venedere quote di Aria pulita. L'Italia è tra i possibili acquirenti assieme a Spagna, Irlanda e Paesi Bassi.
Si profilano scenari apocalittici In un secolo la temperatura della Terra è aumentata di 0,5° centigradi (dati ONU). Nei prossimi cento anni essa potrebbe invece crescere di 5,8° centigradi. Se i criteri di Kioto saranno attuati scrupolosamente, l'aumento potrà essere contenuto a 2° centigradi. Il livello dei mari si è innalzato in un secolo di circa 15 centimetri; da qui a 40 anni, per l'effetto dello scioglimento delle calotte polari, potrebbe crescere di 30 centimetri, sommergendo il 34% delle aree costiere del Pianeta, dove vive il 17% della popolazione. I pessimisti ritengono sia ormai troppo tardi per correre ai ripari: gli scenari apocalittici sono dietro l'angolo.
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