Queste note esaminano la domanda "quanto petrolio c'è ancora?" Vediamo che la risposta è incerta, ma che è possibile fare buone stime tenendo conto non solo dei fattori geologici ma anche dei fattori economici legati all'estrazione. La stima dell'ammontare del petrolio ancora estraibile, comunque, è solo una parte della previsione del futuro che ci aspetta.
Come presidente dell’associazione ASPO-Italia, mi trovo abbastanza spesso di fronte alla domanda: “ma quanto petrolio c’è, ancora?” In effetti, ragionandoci un po’ sopra, non è che la gente sia particolarmente interessata a sapere quanto liquido nero si trova sotto terra in zone lontane e spesso poco ospitali. Quello che si intende normalmente è, piuttosto, “Quanto ci costerà il petrolio?” Oppure, ancora più direttamente: “Quanto petrolio ci potremo permettere di comprare?”
La visione del nostro futuro dipende, per lo meno in parte, da quanto petrolio ci rimane da estrarre. Le risposte che si trovano sulla stampa e sui media in generale sono di solito tranquillizzanti. Si parla di grandi giacimenti ancora non sfruttati e di risorse ancora abbondanti in quelli che sono in produzione. In effetti, anche lasciando perdere i media, notoriamente inaffidabili in qualsiasi cosa, anche i dati che arrivano dagli specialisti indicano che esistono ancora risorse petrolifere sfruttabili, sia pure con forti incertezze nella loro effettiva consistenza. Questa figura (dovuta a Colin Campbell) riassume alcuni dei dati disponibili.
Possiamo dire che esiste un certo accordo: le risorse non sono infinite, ma si situano in media intorno a certi valori, molto approssimativamente 2000 miliardi di barili (un barile è 159 litri). D’altra parte, esiste anche un notevole disaccordo: certi punti sono completamente fuori dalla media per eccesso. E questa immagine cita soltanto dati che possiamo considerare "ragionevoli", ovvero stime di geologi esperti e con credenziali ineccepibili. La fuori, c'è gente che da dei numeri anche molto più grandi per le riserve. Cosa salta in testa a chi ha fatto queste stime?
Per rendersi conto dell’affidabilità delle stime delle risorse, vediamo di rifarci a un caso storico, quello dell’estrazione del petrolio dai 48 stati meridionali degli USA. E’ un caso ovviamente molto ben noto e studiato e dove la produzione ha ormai seguito un ciclo quasi completo. I pozzi americani non sono ancora esauriti, ma il loro declino è cominciato ormai più di trenta anni fa e, a meno di improbabili rivolgimenti, seguiranno una curva di produzione che possiamo prevedere: Da questi dati possimao stimare che dai 48 stati USA si estrarranno in totale circa 190 miliardi di barili. E’ interessante confrontare questo numero con le stime fatte negli anni ’50 e ’60, quando la produzione non aveva ancora raggiunto il suo massimo.
(low= basso, high= alto actual = effettivo). Questa figura ci da un’idea dell’incertezza insita in questo tipo di stime e di come è bene non fidarsi di stime molto ottimistiche, pur fatte da persone competenti. Cosa c’era (e c’è) di sbagliato in queste stime? Dal punto di vista puramente geologico, probabilmente non era che ci fossero “errori” particolarmente gravi o clamorosi. Quello che era sbagliato, più che altro, è stato assumere che tutto quello che la geologia definisce “estraibile” sarebbe stato veramente estratto. Il petrolio non si estrae da solo; l’estrazione richiede risorse nella forma di attrezzature, personale e infrastrutture. Estrarremo quello che potremo permetterci di estrarre, non di più.
Possiamo quantificare questo fattore usando dei modelli che tengono conto sia della risorse disponibili (geologia) sia dei capitali disponibili (economia). La figura che segue riassume il “nocciolo” di questi modelli, che poi possono essere raffinati e perfezionati a piacere.
Senza andare a esaminare il modello nei dettagli, noterete che si basa su due parametri principali: risorse e capitali. Questi due parametri interagiscono dinamicamente fra di loro dando origine alla “curva a campana” della produzione, caratteristica del modello. Le varie costanti sono effettivamente costanti nel modello semplificato, ma possono essere dinamicizzate per tener conto di fattori come il progresso tecnologico, fattori di scala, prezzi, eccetera. La forma della curva di produzione cambia poco con queste variazioni, sebbene in certi casi possa diventare asimmetrica, con il declino più rapido della crescita.
Questo modello descrive una varietà di casi storici ben noti, incluso quello che abbiamo visto prima, dei 48 stati americani. Nella sua forma empirica è noto come il “modello di Hubbert” dal nome del geologo americano M.K. Hubbert che lo propose per la prima volta negli anni ’50. Il modello è molto generale e ci dice alcune cose fondamentali: la prima che non estrarremo tutto quello che in principio è possibile estrarre. Un’altra cosa che ci dice è che, comunque vada, non finiremo il petrolio tutto di un botto. Avremo una curva di produzione approssimativamente simmetrica, ma che potrebbe essere un po' sbilanciata in avanti. Quest’ultima possibilità è preoccupante, dato che ci darebbe l’illusione di risorse ancora abbondanti, salvo poi disilluderci piuttosto rapidamente.
Possiamo usare il modello per fere delle predizioni? Certo, sempre ovviamente tenendo conto che tutte le predizioni del futuro sono approssimate. Una volta che abbiamo deciso che la curva di produzione sarà “a campana” possiamo scegliere due modi diversi per prevedere il futuro. Il primo è di cercare di stimare approssimativamente quanto petrolio potremo estrarre, e da quello determinare la curva. Questo metodo soffre dell’incertezza sulle stime che abbiamo visto prima, ma Hubbert ci ha insegnato che è possibile buone predizioni con questo metodo; perlomeno se uno non si lascia trasportare da un eccessivo entusiasmo nel definire certe risorse come "estraibili". Il seconda metodo consiste nell'adattare una funzione matematica ai dati di estrazione e da quello dedurre quanto petrolio potremo estrarre. Questo presenta qualche difficoltà, date le irregolarità passate della curva di produzione mondiale, in particolare nel periodo delle grandi crisi del petrolio degli anni ’70. Ma è possibile con metodi matematici sofisticati.
Ecco allora i dati da cui dobbiamo partire: Molti scienziati hanno lavorato su questi dati usando uno dei due metod che abbiamo descrittoi, oppure metodi intermedi. La cosa che colpisce in questi studi è il generale accordo di massima. Qualsiasi metodo si usi, si ottengono risultati abbastanza simili. Per esempio, ecco qui la stima di Colin Campbell, che parte dalla stima dei giacimenti a livello regionale. Secondo Campbell, la quantità di petrolio totale estraibile planetaria si situa intorno ai 1900 miliardi di barili.
Qui la stima delle risorse non è riportata esplicitamente, ma dal fatto che il picco di estrazione è riportato per il 2005 si può dedurre che il totale estraibile sia intorno ai 1800 miliardi di barili
Per finire, ecco la stima di Renato Guseo dell’università di padova, fatta usando un metodo “puro” del secondo tipo, ovvero descrivendo i dati sperimentali con una funzione matematica, in questo caso la funzione di Bass.
Secondo Guseo, il totale estraibile potrebbe essere meno di 1600 miliardi di barili e l’accordo migliore si trova con una curva asimmetrica. Il picco si situa comunque nel 2005.
Siamo quindi arrivati a concludere che la quantità di petrolio totale che gli esseri umani estrarranno dal pianetasi situa entro i 1600 e i 2000 miliardi di barili. Dato che abbiamo estratto e bruciato finora circa 1000 miliardi di barili, ci rimagono da 600 a 1000 miliardi di barili da estrarre. Questa è la risposta alla domanda che ci siamo fatti all'inizio
L’incertezza sui valori ottenuti sembra ampia, ma è fondamentale che abbiamo ottenuto risultati comparabili usando metodi diversi. Questo ci da molta fiducia sul fatto che stiamo facendo qualcosa di giusto. Pur nell’incertezza delle stime, da questa analisi possiamo eliminare certe stime super-ottimistiche che parlano di un totale di 3000 miliardi di barili o anche di più. Sono sbagliate non perché chi le ha fatte non sia un geologo competente, ma perché non tutto quello che è geologicamente estraibile lo è anche economicamente.
Quindi, se ci rimangono da estrarre "almeno 600 miliardi di barili" la situazione potrebbe sembrare confortante. Se pensiamo che oggi si estraggono circa 25 miliardi di barili all'anno, questo sembrerebbe indicare che abbiamo di fronte qualcosa almeno 24 anni di estrazione ai ritmi attuali, oppure anche 40 anni se la stima superiore (1000 milardi di barili) fosse quella giusta.
In realtà, l'analisi che abbiamo fatto non ci da soltanto un numero, quello dei barili rimasti, ci da un'idea di come la produzione di petrolio varierà nel prossimo futuro. Se è vero che la "fine del petrolio" è ancora ben lontana, è anche vero che il prossimo futuro, fra il 2005 e il 2010, ci riserva il raggiungimento di quel famoso “picco di Hubbert” o picco di estrazione, dopo di che la produzione dovrà cominciare a declinare. Al di là del picco, non è che non avremo più petrolio, ma dovremo pagarlo molto caro. Questa è, dunque, la risposta a quella che abbiamo visto essere la domanda veramente importante: quanto dovremo pagare il petrolio nel futuro. Evidentemente, lo dovremo pagare caro.
La fase verso cui andiamo la possiamo soltanto definire come di “Vacche Magre” in senso petrolifero, ovvero una fase di prezzi alti - forse anche molto alti. Dato che i prezzi del petrolio si portano con se i prezzi di tutte le materie prime, non possiamo che aspettarci una contrazione economica che durerà fino a quando non avremo sostituito il petrolio con energie rinnovabili. Tecnologicamente, questo è perfettamente possibile. Purtroppo, i tempi necessari sono più lunghi rispetto a quelli previsti per il declino del petrolio. Avremmo dovuto cominciare prima, ma questa non è una ragione per non cominciare mai. Se investiremo risorse sostanziali nella sostituzione, possiamo riemergere dalla crisi attuale (e futura) in tempi ragionevoli, verso un mondo migliore, più pulito e con meno guerre.
FONTE: http://www.aspoitalia.net
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