Saturday, April 19, 2008

F come fame...

Per molti i problemi del mondo sono l'imperialismo degli Stati Uniti d'America, l'ascesa della Cina, il terrorismo, il riscaldamento globale, e sebbene siano tutte argomentazioni valide, oggi la questione più critica è senz'altro la carenza di cibo e la scarsità d'acqua.

Per avere un'idea sull'utilizzo dell'acqua, si pensi che il 70 per cento dell'acqua del pianeta è consumato dalla zootecnia e dall'agricoltura (i cui prodotti servono per la maggior parte a nutrire gli animali d'allevamento). Gli allevamenti consumano una quantità d'acqua assai maggiore di quella necessaria per coltivare soia, cereali, o verdure per il consumo diretto umano. E' questa una delle note dolenti del nostro vivere, a cui si è aggiunta da non molto la pazza idea di trasformare le derrate alimentari in carburante, tanto da contrapporre, in un sol colpo, cibo a biocarburanti.

Nel giro di un solo anno, in vaste zone del pianeta, come in Indonesia, l'aria è diventata irrespirabile a causa delle foreste date alle fiamme per far posto a coltivazioni di soia, canna da zucchero ed altre colture destinate ai biocarburanti di origine vegetale.

In questi giorni Buenos Aires, la capitale argentina, è avvolta da un'enorme nuvola di fumo, proveniente da enormi appezzamenti di terra dati alle fiamme dai proprietari, che bruciano sterpaglie e arbusti, protestando contro le tasse imposte dal governo sulle esportazioni di soia e di grano. *

In questo contesto, non trascurando neanche l'ingresso di Cina e India sul mercato, il prezzo del grano è salito a quotazioni così alte da provocare preoccupanti rincari di pane e pasta.

Ieri ad Accra, in Ghana, il segretario generale dell'Onu, Ban-Ki Moon, intervenendo alla XII sessione della Conferenza Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad) ha espresso le sue preoccupazioni dicendo che, se la questione dei prezzi elevati dei prodotti alimentari non sarà gestita correttamente, l'aumento indiscriminato dei prezzi dei generi alimentari potrebbe minacciare la crescita economica, il progresso sociale e la sicurezza mondiale.

Pur tuttavia, sono in molti a tessere le lodi del biocarburante, visto come alternativa più pulita alle fonti energetiche tradizionali. Lula, ad esempio, che governa un Paese, il mitico Brasile, il cui spazio sterminato non crea certo problemi ad un'agricoltura fuori di testa, in un recente vertice della Fao tenutosi in Argentina, si è trovato a dover difendere a spada tratta i biocarburanti (su cui il suo Paese ha puntato fortissimo, in pieno accordo con il Presidente americano Bush, alla ricerca di una via di uscita dalla dipendenza del petrolio) e se stesso. Messo sotto accusa in quanto ritenuto corresponsabile dell'esplosione dei prezzi di riso, grano ed altri alimenti di base registrati negli ultimi mesi, il Presidente brasiliano si è difeso sostenendo che il Brasile ha terreni sufficienti per reggere la crescita dei biocarburanti, e punta il dito invece contro il prezzo del petrolio, che spinge in alto i costi dei trasporti e dei fertilizzanti, e soprattutto i sussidi all'agricoltura dei Paesi Occidentali, che mettono fuori mercato le produzioni agricole africane e sud americane. E su questi problemi di fondo che bisogna intervenire, ha detto Lula, senza criminalizzare la produzione di biocarburanti, che al contrario potrebbe diventare presto un mezzo importante per dare ricchezza e indipendenza energetica anche ai Paesi oggi più poveri.

Però, se da una parte è vero che i biocarburanti sono una opportunità per la crescita e lo sviluppo di alcuni Paesi, e anche un'alternativa più pulita alle fonti energetiche tradizionali, dall'altra, dito puntato contro la massiccia produzione di biodiesel, che sottrae terreni alle produzioni alimentari, facendo salire i prezzi di riso, grano ed altri beni di base. Oltreciò, gli impianti industriali che li producono utilizzano materie prime agricole che percorrono migliaia di chilometri in aereo, navi e tir; assieme ad altri prodotti cibari, contribuendo allo spreco di energia ed emissione di gas a effetto serra.

A riguardo, proprio uno studio fatto da due ricercatori del Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Pa., sulle emissioni di gas serra causati dalla produzione e dal trasporto di varie categorie di prodotti alimentari negli Stati Uniti, emerge che la dieta "locavora", cioè basata su prodotti che abbiano percorso il minor numero di chilometri possibile, produce benefici sopravanzati enormemente da un solo giorno da vegetariani. La coppia di ricercatori, Christopher Weber e H. Scott Matthews ha calcolato l’intero ciclo di vita della produzione dei cibi, cercando di separare i contributi di ogni fase, dalla produzione alla tavola. Il risultato principale è stato che il trasporto contribuisce solo per l’11% al totale delle emissioni prodotte mentre, la produzione agricola o industriale, è responsabile dell’83% delle sostanze che causano il riscaldamento globale.

Ad esempio, sembra che la carne rossa, da cui deriva il 31% dei gas serra, sia la principale responsabile delle emissioni inquinanti, mentre i latticini contribuiscono per un altro 18%. Minore il peso di carne di pollo e pesce (11%) e verdure (9%). Lo studio ha anche calcolato i benefici dei vari tipi di diete, da cui è venuto fuori che i “locatori” sono meno amici dell’ambiente dei vegetariani. Lo studio è stato pubblicato dalla rivista Environmental and Science and Technology. Dell'argomento ne parla oggi anche La Stampa oppure, più dettagliamentesu dsc.discovery.com/

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