Thursday, April 26, 2007

I cow boy del carbonio

Attenzione ai "cowboy del carbonio" perché forse lo scambio di quote di emissione non è sempre così "verde". Si può riassumere così l'inchiesta del Financial Times, oggi in prima pagina. L'autorevole quotidiano economico britannico, infatti, ha indagato sugli scambi di quote di emissione derivanti da interventi per la riduzione della CO2 nelle produzioni industriali ed energetiche, e ha scoperto che c'è una "corsa all'oro verde". In sostanza c'è chi approfitta della nuova attenzione al clima per fare soldi, chiedendo sovraprezzi per introdurre tecnologie pulite che costano molto meno di quel che si esige dai consumatori, o per processi di ammodernamento che sarebbero stati comunque effettuati e già messi in bilancio, non richiedendo quindi la partecipazione allo sforzo dei consumtori-utenti finali. E ancora, ci sono crediti venduti due, tre, quattro volte, crediti che testimoniano riduzioni di gas serra mai avvenute, o ancora ecco i "cowboys del carbonio", trader che trafficano in crediti di emissione che fanno conto su riduzioni di gas serra avvenute solo sulla carta e non corrispondenti a tagli reali.

L'interesse c'è, perché, scrive Ft, "si prevede che il mercato regolato dei crediti di carbonio dovrebbe raddoppiare in valore, arrivando a 50 miliardi di euro entro il 2010, con il settore non regolato che invece dovrebbe salire a 4 miliardi nello stesso periodo". L'inchiesta del Financial times sul "traffico d'aria calda", cioè di riduzioni delle emissioni fasulle, vendute più volte o strapagate dai consumatori sottolinea alcune circostanze precise. Ci sono "numerosi casi di persone e organizzazioni che comprano crediti di nessun valore che non attestano nessuna riduzione nelle emissioni di carbonio". Ancora, ecco "compagnie industriali che approfittano della situazione facendo molto poco o guadagnano crediti di emissione sulla base di miglioramenti nell'efficienza dai quali hanno già ampiamente e sostanzialmente beneficiato". Poi ecco "brokers che offrono servizi" per la riduzione dell'anidride carbonica "di discutibile o nessun valore". Ft rileva inoltre "una carenza di verifiche che rende difficile per chi ne compra attestare il vero valore dei crediti di carbonio". E poi, dall'inchiesta emerge la circostanza che vede "compagnie e singoli ai quali vengono conteggiate spese eccessive per l'acquisto di crediti d'emissione europei il cui valore è precipitato visto che non sono risultati legati ad alcuna riduzione delle emissioni". Ci sono "serie preoccupazioni circa la credibilità" nel mercato dei permessi di emissione, e "la polizia, i servizi antritruffa e i regolatori di borsa dovranno occuparsene", dice al Financial Times Francis Sullivan, consigliere ambientale della Hsbc, la più grande banca britannica diventata nel 2005 a emissioni zero anche ricorrendo al mercato dei crediti, "altrimenti l'opinione pubblica perderà fiducia" nei meccanismi di Kyoto.

E l'inchiesta del Financial Times sul mercato del carbonio, che sta esplodendo, attirando però speculatori senza scrupoli, offre anche qualche esempio pratico. "Ad esempio la compagnia chimica DuPont - si legge nell'articolo - invita i consumatori a pagare 4 dollari per eliminare una tonnellata di carbonio dal suo stabilimento nel Kentucky che produce un potente gas serra, l'HFC-23 (trifluorometano, si usa per impianti di spegnimento chimico, ndr). Ma gli impianti per ridurre questi gas sono relativamente poco costosi". Ci sono poi le compagnie che lavorano nello scambio di crediti derivanti da riduzione delle emissioni, offrendole a chi volesse scambiarli con profitto, "senza avera apparentemente un'idea chiara di come funziona il mercato". L'americana Blue source, ad esempio, una di queste società, "invita i comnsumatori a contribuire alla riduzione delle emissioni di carbonio investendo nell'Enhanced Oil Recovery (letteralmente: recupero avanzato di petrolio, ndr), con la quale si pompa anidride carbonica in pozzi petroliferi esauriti per portar fuori il petrolio rimanente. Però Blue Source precisa che a causa degli alti prezzi del petrolio questo processo è redditizio in sé, e che quindi gli operatori fanno extraprofitti vendendo crediti d'emissione per aver sepolto anidride carbonica". Peccato che questa farà produrre nuovo petrolio che rimetterà in circolo altra CO2.

Fonte: diregiovani

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